Oggi in Paradigma presenta il libro di Adriano Colafrancesco “Il Gran Pandemonio”

ilP: Lei non usa mezze misure e traspone la pandemia in “Pandemonio”. Cosa le fa pensare che la gestione sanitaria di una epidemia sia divenuta un modo di governo tecnocratico dell’esistente?

AC: Essenzialmente i fatti, le circostanze e le cose che accadono. Uso l’espressione “pandemonio” per descrivere e denunciare un quadro più complesso della pandemia in atto ormai da più di un anno, la quale, per quanto di per sé grave, rappresenta in realtà solo l’epicentro di un meta-fenomeno cui non mancano altri non meno gravi elementi di turbolenza. Pensiamo, ad esempio, all’impatto e alle ricadute sul piano socioeconomico, su scala mondiale, delle metodiche e relative tecnologie annesse, per lo smart working, applicate nel mondo del lavoro, piuttosto che nei processi di formazione e scolastici.

Ma pensiamo anche all’impatto sulla società civile della cultura del “distanziamento” tra le persone, o ancora di quello della imposizione di mascherine, tutte misure introdotte all’insegna della tutela della salute propria e degli altri, con conseguente inevitabile colpevolizzazione dei dissidenti e, peggio ancora, accrescimento del numero di ipocondriaci e disadattati che stiamo per questo creando! Pensiamo pure a novità come il tracciamento degli esseri umani, acquisito come fatto buono e giusto e non già come limite alla libertà personale. Tutto questo, per rispondere in modo più puntuale alla sua domanda, non può non far sospettare che, come minimo, la circostanza pandemica non sia stata “cavalcata” per l’avvento e affermazione – uso le sue parole – di nuove forme di “governo tecnocratico dell’esistente”. E’ fin troppo evidente, che quantomeno vi è un considerevole rischio in tal senso.

Per rispondere compiutamente alla sua domanda, però, ho bisogno di ribadire, come preciso nelle pagine introduttive del mio libro scopi e intenzioni autentiche del mio scrivere: quando uso l’espressione “pandemonio” intendo anche e soprattutto portare la riflessione su un piano più alto e, a mio avviso, quanto mai necessario oggi per comprendere appieno la scena del mondo degli ultimi tempi. Una scena nella quale l’evocata dimensione transumana in ambienti come il Forum di Davos – “La quarta rivoluzione industriale porterà a una fusione della nostra identità fisica, digitale e biologica”  – rende sempre più urgente la necessità di apostolato, in un mondo in cui lo scientismo rischia di prendere il sopravvento sulla scienza. Una scena, questo il vero punto, nella quale – con buona pace dei non credenti – si fronteggiano, in una fase storica decisiva, i “figli della Luce” con il “regno delle Tenebre”.

ilP:”La quarta rivoluzione industriale porterà a una fusione della nostra identità fisica, digitale e biologica”: pensa sia in atto un tentativo di trasformazione antropologica dell’essere umano?

AC: Le parole di Klaus Schwab nell’ultimo meeting di Davos di quest’anno, sono inequivoche. E come lui altri personaggi illustri del nostro secolo – Elon Musk, per non far nomi, il tanto decantato innovatore, citatissimo e molto presente nei nostri telegiornali – sostengono pubblicamente che sia ormai indispensabile potenziare tecnologicamente l’essere umano per renderlo più competitivo rispetto alle macchine.

Siamo di fronte, con tutta evidenza, alla più diabolica delle perversioni umane. Siamo, per dirla con linguaggio moderno, alla “versione 2.0 del peccato originale”! Cos’altro, se non la superbia, può portare la creatura a farsi creatore, come nel caso dei nostri nuovi eroi?

Da qui ovviamente, ancora una volta, l’esigenza di ritrovare l’umanità perduta e riscoprire nella nostra Tradizione millenaria il bandolo della matassa, per scongiurare l’avvento di un disumano Nuovo Ordine Mondiale! E, badi bene, ad asserire queste cose o a denunciarle senza mezzi termini, sottolineandone la gravità, non son affatto solo. Voci ben più autorevoli della mia hanno circostanziato in modo assai lucido e documentato tutte queste cose.

Nel mio libro, con altre non meno autorevoli, riporto integralmente due testimonianze, una laica e l’altro confessionale, la cui lettura fa molto riflettere. Si tratta di pubblici interventi di Peter Koenig, qualificato economista e analista geopolitico statunitense, e Mons. Carlo Maria Viganò, già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti.

Ci sono voci come queste di indiscutibile prestigio e autorità, ma – cosa semplicemente inaudita – il mondo della comunicazione, il cosiddetto mainstream, finge di non vederle, per non dire che, in realtà, si preoccupa di oscurarle quanto più possibile.

ilP: Quali considerazioni è possibile trarre sui mezzi di comunicazione in merito al loro ruolo nella narrazione egemone?

AC: Nel libro c’è un capitolo dedicato alle cronache giornalistiche dei nostri tempi, finalizzato essenzialmente a questo: a sottolineare, non senza ironia, la strumentalizzazione dei media asserviti al “pensiero unico” che, addirittura nella televisione di stato – quella tenuta in piedi con i soldi degli utenti che pagano il canone annuale – si fanno carico della responsabilità di vera e propria omissione di servizio pubblico!

Come è tollerabile che, in un quadro di drammatizzazione mediatica come quello a cui assistiamo impotenti da mesi, vengano considerate marginalmente, se non addirittura oscurate, voci di personalità scientifiche di alto profilo, come – tanto per non far nomi – il premio Nobel Montagnier, piuttosto che personalità della competenza e calibro dei nostri professor Tarro, piuttosto che Stefano Montanari, proprio non è dato di intendere!

O meglio, si capisce perfettamente se si tiene conto della non ammessa dissonanza dal coro di sistema, univocamente controllato e concentrato su una propaganda di regime sempre più sfrontata!

Questo è, di questo si tratta: di strumenti di servizio a garanzia del sistema e scapito degli utenti che il sistema dovrebbe servire e tutelare!

Non mancano in particolare sulla rete, per fortuna, voci alternative che, per quanto meno potenti dei grandi media, suppliscono in qualche modo alla carenza del sistema complessivo dell’informazione, ma, purtroppo, anche per queste i rischi di oscuramento e interdizione non sono affatto banali.

Non sono un sostenitore di tesi cospirazioniste. Parlo così, ancora una volta, perché sostenuto da fatti concreti che sono sotto gli occhi di tutti, per i quali sarebbe davvero auspicabile un sereno e serio dibattito pubblico. Sempre, ovviamente, che vi sia il coraggio e la disponibilità ad affrontarlo.

ilP: Il cospirazionismo tende a semplificare ideologicamente constatazioni spesso empiriche sulla dinamica impersonale del potere. Secondo lei è strumento di critica o legittimazione dell’esistente?

AC: Non sono e – ripeto – mi rifiuto categoricamente di attribuire etichette di cospirazionismo. Ho già detto, come ho scritto nelle pagine introduttive de “Il Gran Pandemonio”, la mia vuol essere una provocazione, o piuttosto un lampo di luce, nella scena di un mondo gravemente stordito e narcotizzato da pericolose illusioni scientiste, con l’intenzione, spero non velleitaria e con qualche frutto, di apostolato, che perseguo implicitamente ed esplicitamente nelle pagine dei miei scritti. La mia è una battaglia senza esclusione di colpi, questo sì, contro il Demonio, Principe di tutti i cospirazionismi!

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https://www.ibs.it/gran-pandemonio-andra-tutto-benissimo-libro-adriano-colafrancesco/e/9788833053042